AUTORE: Nadia Terranova
TITOLO: Addio fantasmi
EDITORE: Einaudi
GENERE: Narrativa
TRAMA
Una casa tra due mari, il luogo del ritorno. Dentro quelle stanze si è incagliata l’esistenza di una donna. Che solo riattraversando la propria storia potrà davvero liberarsene. Nadia Terranova racconta l’ossessione di una perdita, quel corpo a corpo con il passato che ci rende tutti dei sopravvissuti, ciascuno alla propria battaglia. Ida è appena sbarcata a Messina, la sua città natale: la madre l’ha richiamata in vista della ristrutturazione dell’appartamento di famiglia, che vuole mettere in vendita.
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Circondata di nuovo dagli oggetti di sempre, di fronte ai quali deve scegliere cosa tenere e cosa buttare, è costretta a fare i conti con il trauma che l’ha segnata quando era solo una ragazzina. Ventitre anni prima suo padre è scomparso. Non è morto: semplicemente una mattina è andato via e non è piú tornato. Sulla mancanza di quel padre si sono imperniati i silenzi feroci con la madre, il senso di un’identità fondata sull’anomalia, persino il rapporto con il marito, salvezza e naufragio insieme.
Specchiandosi nell’assenza del corpo paterno, Ida è diventata donna nel dominio della paura e nel sospetto verso ogni forma di desiderio. Ma ora che la casa d’infanzia la assedia con i suoi fantasmi, lei deve trovare un modo per spezzare il sortilegio e far uscire il padre di scena.
RECENSIONI
Superare un dolore, andare avanti, voltare pagina. Anche se riceviamo comprensione per ciò che ci è accaduto, arriva un momento in cui gli altri si aspettano che ritorniamo alla normalità, senza condizionare ulteriormente la nostra esistenza. Nadia Terranova in questo libro ci narra di un dolore che invece viene custodito, fino a diventare un’ossessione. La madre vorrebbe che Ida dimenticasse e prova rabbia per questa figlia che non vuole lasciar andare e in fondo, parte della sua rabbia deriva dal terrore che la figlia sia colpita dalla stessa malattia del padre, qualcosa dalla quale non ha saputo proteggerla.
Ida però non vuole dimenticare, non può. Come tutti i bambini che provano una perdita, cercano la risposta nelle cose più semplici, e se la madre dà la colpa al padre, Ida incolpa sé stessa, perché non è stata abbastanza brava, perché non era abbastanza importante, perché non gli ha dato un motivo per restare. Il mondo le crolla addosso, e non trova una ragione, ma la cosa che la colpisce è rendersi conto che gli altri continuino a vivere normalmente nonostante il suo dolore. Un bambino dimentica, è quello che si crede generalmente, ma per Ida l’abbandono del padre è una cicatrice che porta in volto e che ha plasmato la sua vita, fino a renderla schiava di ciò che è successo.
Il mondo della protagonista, dopo quella mattinata, è fatto di spigoli ed angoli bui, di umidità e silenzi. Se Dickens, nel suo “Canto di Natale”, aveva reso il fantasma dei Natali futuri il più temuto, nella storia di Nadia Terranova, il futuro non si disturba nemmeno a palesarsi. La melanconia invade le pagine, scorrendo come acqua, che nella storia si insinua nelle crepe della casa di Ida e sua madre. Quest’ultima cerca di ridare un ritmo alle proprie vite, scegliendo di tacere per sempre il nome del marito, la sua stessa esistenza, perché parlarne vuol dire dargli importanza. Sceglie di negare tutto, per smettere di annegare. Forse per la mancanza non ci sono parole, e allora decidiamo di tacere quello che non riusciamo a definire.
In fondo, riusciamo a fare le stesse cose che facevamo prima e la vita va avanti, e così appariamo perfettamente normali, perché l’amputazione di un pezzo di anima non è cosa visibile agli occhi. Ma negare non è dimenticare e per Ida suo padre non è mai stato così presente come da quando è scomparso. Vive ovunque, anche se il suo nome è rinchiuso in una scatola rossa. Ho dovuto centellinare i capitoli, perché questo romanzo ha parlato al mio cuore, a quella parte ferita che spesso tace e resta in disparte.
La voce dolce della Terranova mi ha raccontato dei “superstiti del dolore”, non solo Ida e sua madre, ma anche Sara e Nikos, di coloro che scelgono di rifiutare il male che gli è stato fatto e di chi invece sa vedere in sé stesso l’unico responsabile. Quello che mi ha colpito è che in base al punto di vista da cui guardiamo, le nostre reazioni sono diverse. Ida accusa la madre di negare l’accaduto, ma nel momento in cui qualcosa brutto accade alla sua migliore amica, è la stessa Ida a non saper dar voce al fatto, nascondendosi in inutili chiacchiere. Crediamo che l’aver affrontato cose terribili, ci rende più sensibili, ma non è sempre vero, o forse lo fa solo per ciò che riguarda noi stessi, incapaci di riconoscere le ferite altrui.
[©Gaia Del Riccio]