FRASI
Federico Pace, Controvento – Ed. Einaudi
“Quasi tutti gli adolescenti scelgono la via della fuga. Per uscire dall’età dell’incertezza voltano le spalle alla famiglia e si arrampicano sull’albero che li porta al di là del giardino di casa. La lite, la rabbia. Senza neppure sapere perché. Prendere commiato da quel che prima sembrava il luogo della confidenza e dell’affetto. Tutto ciò che era di conforto all’improvviso appare come incongruo ed estraneo.
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Ci sono quei cammini che si percorrono per tutta una vita. Che sembrano il luogo dell’eterno ritorno. I luoghi del conforto e della consuetudine. Pure se l’irrequietezza spinge l’anima, la smuove e l’agita. Pure se la tranquillità non si trova mai. Si esce di casa, si guarda appena la finestra alle nostre spalle dove s’affaccia qualcuno che saluta. La donna a cui siamo legati da una vita, una moglie, una madre. Il cammino è a pochi passi da casa, eppure somiglia a una vertigine, sospende verso il vuoto, richiama e distrae. Espone al paesaggio, lascia senza fiato, stanca e poi di nuovo riconduce a casa. Un altro giorno. Lo stesso cammino. Poi però quel cammino, quello stesso percorso, all’improvviso porta in un posto in cui non pensavamo mai di giungere.
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Appena non vediamo più la persona che amiamo, appena perdiamo di vista il suo sguardo e non riusciamo più a sentire la sua voce, non siamo più nel luogo in cui siamo noi stessi.
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Anche un solo passo ci permette di eludere la disperazione e trovare rifugio.
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Abbiamo vissuto tante cose insieme che sono loro che mi metto sotto la testa, come cuscino per addormentarmi.
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Perché è crudele il ricordo che trattiene e rammenta, nonostante siamo lontani e separati da ciò che è stato. Perché è dolcissimo il ricordo che trattiene e rammenta e ci tiene legati a quel che è stato.
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Quando ci chiniamo sotto il varco che ci condurrà all’amicizia, riusciamo a passare non perché mostriamo il meglio di noi, ma piuttosto perché, mentre ci chiniamo, lasciamo scoperto qualcosa che ci appartiene davvero. Anche la timidezza, l’avventatezza e l’imprecisione.
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Il tempo, a cui si pensa come a qualcosa che spazza via ogni cosa, per tutta la vita, invece, mette una cosa dietro l’altra,e poi un’altra ancora. E anziché spazzare via, si ostina a trattenere. Nel progredire del tempo, nel trascorrere dei giorni, la vita si accumula.
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Ma quando si parte, quando si lascia qualcosa, non si sa mai fino in fondo neppure quel che si sta lasciando.
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Le nostre origini sono sempre in un altro luogo. C’è sempre qualcuno, nella nostra famiglia, che è arrivato da un altrove. Con abiti che appaiono strani ai nostri occhi. È sempre in un altro luogo che cerchiamo le nostre radici.
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I libri e gli amici. A quell’età ( giovinezza)sono più di quel che sembrano, mettono in moto delle cose che non si possono prevedere.
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I viaggi aprono varchi su ciò che stiamo diventando. Certificano la nostra condizione. Ci scuotono dall’inconsapovelozza e in quell’andare altrove, nel confrontarci con l’altro, ci obbligano a prendere consapevolezza di ciò che altrimenti cerchiamo di nascondere a noi stessi. Il velo che cela le cose, in viaggio viene strappato senza esitazione.
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Quel viaggio, e ciò che venne dopo, lo travolsero, anche se non fu come se lo aspettava. D’altronde non c’è mai cosa che accada, che avvenga nel modo in cui ce la siamo prefigurata.
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i sono passaggi in cui si intuisce, con umana vulnerabilità, che tutto quel che si pensava di avere, non lo si potrà avere per sempre. In cui si scopre, con stupore e incertezza, che quel che si pensava sarebbe rimasto immutato comincerà a scivolare verso il disordine e nulla potrà essere come prima.
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Quando si è amici accade quasi sempre così. Si ritorna a fare le stesse cose, quelle cose che si sono fatte le prime volte.
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Quando ci chiniamo sotto il varco che ci condurrà alla amicizia, riusciamo a passare non perché mostriamo il meglio di noi, ma piuttosto perché, mentre ci chiniamo, lasciamo scoperto qualcosa che ci appartiene davvero. Anche la timidezza, l’avventatezza e l’imprecisione.
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Il passato si conosce perfettamente e curarsene è inutile, perché non possiamo cambiarlo. Così come l’avvenire, di cui costantemente ci preoccupiamo, ma inutilmente, giacché non siamo in grado di prefigurarlo né di plasmarlo a nostro piacere.
L’unica cosa di cui non sappiamo niente é il presente, questo pomeriggio, l’ora stessa che stiamo vivendo.
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Un passo più in là, un movimento ampio o breve. Andare via proprio in un certo momento. È allora che le cose cominciano ad accadere. Quando si schiude la porta della stanza dei giorni quotidiani e si va oltre l’incanto di un tempo immutabile, oltre la promessa beffarda che la vita può attendere ancora a lungo. Andare via. È allora che la vita sembra poter accadere in maniera più decisa e repentina. Intensa e improvvisa.
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Il viaggio sancisce, condensa e svela qualcosa che ancora non si sapeva: l’uscita dall’infanzia, la conquista delle cose insperate, una riconciliazione, la scoperta di un’amicizia, la fine di un legame che si pensava sarebbe durato a lungo, la comprensione di qualcosa che fino ad allora non c’era stato alcun modo di intuire. Ogni viaggio, anche se non potrò più essere quello di Argo, la prima nave che solcò i mari, porta con sé una porzione di vita nuova che accade. il disincanto e la delusione; il conforto e il riscatto. Un dono o la scoperta di una perdita.
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In quella terra sconosciuta in cui ci getta la sofferenza, ogni cosa appare diversa, incerta. E si diventa stranieri anche dove siamo stati a casa.
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Una foto, un attimo, l’idea di quel che poteva essere e quel che è stato.
Federico Pace, Controvento – Ed. Einaudi