“Il pane perduto” – Edith Bruck

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Vincitore Premio Strega 2021

AUTORE: Edith Bruck
TITOLO: Il pane perduto
EDITORE: La nave di Teseo
GENERE: Letterati

TRAMA

Per non dimenticare e per non far dimenticare, Edith Bruck, a sessant’anni dal suo primo libro, sorvola sulle ali della memoria eterna i propri passi, scalza e felice con poco come durante l’infanzia, con zoccoli di legno per le quattro stagioni, sul suolo della Polonia di Auschwitz e nella Germania seminata di campi di concentramento.

Miracolosamente sopravvissuta con il sostegno della sorella più grande Judit, ricomincia l’odissea. Il tentativo di vivere, ma dove, come, con chi? Dietro di sé vite bruciate, comprese quelle dei genitori, davanti a sé macerie reali ed emotive. Il mondo le appare estraneo, l’accoglienza e l’ascolto pari a zero, e decide di fuggire verso un altrove.

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Che fare con la propria salvezza?

Bruck racconta la sensazione di estraneità rispetto ai suoi stessi familiari che non hanno fatto esperienza del lager, il tentativo di insediarsi in Israele e lì di inventarsi una vita tutta nuova, le fughe, le tournée in giro per l’Europa al seguito di un corpo di ballo composto di esuli, l’approdo in Italia e la direzione di un centro estetico frequentato dalla “Roma bene” degli anni Cinquanta, infine l’incontro fondamentale con il compagno di una vita, il poeta e regista Nelo Risi, un sodalizio artistico e sentimentale che durerà oltre sessant’anni.

Fino a giungere all’oggi, a una serie di riflessioni preziosissime sui pericoli dell’attuale ondata xenofoba, e a una spiazzante lettera finale a Dio, in cui Bruck mostra senza reticenze i suoi dubbi, le sue speranze e il suo desiderio ancora intatto di tramandare alle generazioni future un capitolo di storia del Novecento da raccontare ancora e ancora.


RECENSIONI

“Nessuno avrebbe potuto dire se il viaggio stesse durando molto o poco, il tempo reale, come la mia infanzia, era sparito e quello interiore ciascuno lo viveva solo secondo i propri sensi”.

Prima di leggere il libro ho guardato per dieci minuti la copertina, finito il libro quella copertina l’ho guardata per oltre mezz’ora.

É un’immagine che tocca, che crea empatia, che per certi versi fa soffrire. Fa vedere “il pane peduto”. Il pane da sempre alimento di festa, di casa, di famiglia, di unione, se perduto crea smarrimento, tristezza, dolore. Ecco cosa vuole raccontare Edith Bruck, con questa storia vera: vuole raccontate (a 89 anni) la sua storia. Ancora. Una storia fatta di dolore, di orrore, di perdite, di allontanamenti, di ingiustizia, di viaggi, di ricostruzione, di pazienza e audacia nei confronti della Storia.

Con un linguaggio asciutto e viscerale il racconto si avvia partendo dall’infanzia ungherese della protagonista, infanzia che viene “persa” a causa di gendarmi che scombussolano una famiglia, una vita, procede poi per ricordi che affiorano come lampi, ricordi assemblati sulla base delle intermittenze della coscienza, a violare l’ordine più strettamente cronologico degli eventi.

Quella bambina con semplicità dice dell’orrore del nazismo, e continua anche da adulta. Proprio lei, Ditke, mentre tutta la follia umana le cammina accanto riesce a scampare alla morte si sforza di capire come ricostruirsi per apprezzare quella salvezza fortuita. E così passa una vita a viaggiare, Birkenau, Auschwitz, poi Dachau, e poi nel 1954 arriva in Italia e qui si ferma…

Quella bambina mi ha guardato da subito con occhi che non posso dimenticare e dalla donna ho imparato che la vita é occasione sempre. Grazie Edith Bruck per questo libro, per questo scampolo di vita, per questa testimonianza, per questa tenacia nel ricordare ed educare le generazioni.
Se é vero “che ci vogliono parole nuove per parlare di Auschwitz”, quelle della Bruck servono.

Consigliato.

©Maria Elena Bianco

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