“Il vecchio che leggeva i romanzi d’amore” – Luis Sepúlveda

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Il vecchio che leggeva romanzi d amore

AUTORE: Luis Sepúlveda
TITOLO: Il vecchio che leggeva i romanzi d’amore
TRADUTTORE: Ilide Carmignani
GENERE: Narrativa
EDITORE: Guanda

TRAMA – Il vecchio che leggeva i romanzi d’amore

Il vecchio Antonio José Bolivar vive ai margini della foresta amazzonica equadoriana. Vi è approdato dopo molte disavventure che non gli hanno lasciato molto: i suoi tanti anni, la fotografia sbiadita di una donna che fu sua moglie, i ricordi di un’esperienza, finita male, di colono bianco e alcuni romanzi d’amore che legge e rilegge nella solitudine della sua capanna sulla riva del grande fiume.

Ma nella sua mente, nel suo corpo e nel suo cuore è custodito un tesoro inesauribile, che gli viene dall’aver vissuto “dentro” la grande foresta, insieme agli indios shuar: una sapienza particolare, un accordo intimo con i ritmi e i segreti della natura che nessuno dei famelici gringos saprà mai capire.

FRASI

“Gli amici servono a questo, a celebrare i meriti dell’altro.”

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“Non pensò mai alla parola libertà, ma la godeva a suo piacimento nella foresta.

”

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“Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere.
”

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“Gli occhi della paura possono vederti così come tu vedi le prime luci dell’alba.
”

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… si avviò verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana.

”


RECENSIONI

Da tutti conosciuto come autore de “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, Sepùlveda dimostra grande abilità nello scavare a fondo nell’animo umano già qualche anno prima, pubblicando “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”.

Volendo difendere la propria Amazzonia (e rendere omaggio a chi come lui si batteva per proteggerla, rimettendoci, purtroppo, la vita), Sepùlveda rende protagonista di questo romanzo un uomo a cui ci si affeziona per gradi, imparando a conoscere il suo passato e comprendendo la sua scelta complessa di come vivere il presente.

Antonio Josè Bolìvar è il “vecchio” citato nel titolo del romanzo: è l’esempio di come l’uomo, a seconda della fase della vita che sta attraversando, cerchi di allontanarsi o avvicinarsi alla natura (intendendo, con questa, sia il mondo animale che quello vegetale), imparando inizialmente a sopravvivere… dopo, a vivere. Non più in armonia con l’uomo, che ha questa strana indole al distruggere, ma con la foresta e le creature che la popolano, rinunciando ai fronzoli e alla vita mondana, facendosi bastare quel poco per non morire mai di fame o freddo, e conoscendo il mondo “lontano da sé” tramite la lettura, unico vantaggio del vivere in mezzo ai “civili”.

Perché così si definisce l’uomo, soprattutto il colonizzatore: “civilizzato”. Ma cosa c’è di civile nello spingere una popolazione indigena ad abbandonare la propria casa? Cosa, nell’uccidere una creatura che si è battuta per difendere la propria famiglia da attacchi esterni e disumani, dalla morte? Fino a quando si potrà forzare la natura, per trarne temporaneo beneficio e ritorno economico?

Quando anziché la civiltà, l’uomo fa venire a galla la propria sconsideratezza e vigliaccheria, non rimane altro, allora, che rifugiarsi in un mondo dove esiste davvero l’amore, non quello conosciuto dai più, ma l’altro tipo, “quello che fa stare male”.

A tal proposito, corro il rischio di dissacrare un mito (non volendo nulla togliere ad un autore di tale rilevanza), dicendo che sono stata un po’ delusa alla fine della lettura del romanzo, depistata dal suo titolo: mi aspettavo, infatti, che venisse dato uno spazio molto più ampio e concreto ai romanzi d’amore citati e alla ricaduta che la lettura di questi potessero avere nella vita del protagonista.
Ho provato un istintivo disappunto perché l’argomento è stato appena sfiorato, mi sarei aspettata qualche pagina in più da dedicare a questo aspetto, se non altro per giustificarne la citazione, appunto, nel titolo.

©Eleonora Nicolosi

 

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