In vista dell’uscita del libro “Il digiunatore“ prevista per il 13 gennaio, la casa editrice Ponte alle Grazie ha organizzato un fantastico incontro con l’autore del libro, Enzo Fileno Carabba.
Questo, incitato dalle domande dei numerosi colleghi presenti, ha tracciato, insieme alla editor Cristina Palomba, la genesi e lo sviluppo di questo geniale romanzo.
“Questo è un libro di incontri” ci raccontano entrambi “il primo sicuramente quello tra Giovanni Succi e me. Un mio amico” ci spiega Enzo “organizzò una mostra sul digiunatore a cui io fui invitato e lì iniziò il nostro legame. Quando poi scoprii che una mia amica, Lucia Succi, è una sua lontana parente, vidi in questa conoscenza un modo adottato da Giovanni per venirmi a trovare. Fu così che il suo spirito [per citare qualcosa che nel libro torna prepotentemente] iniziò ad abitare dentro di me”.
Il secondo incontro importante certamente quello fra Enzo e Cristina, editor che ha curato il romanzo: “Io non conoscevo la figura di Giovanni Succi e quando mi fu presentato questo manoscritto rimasi piacevolmente colpita dalla stravaganza di questa personalità. Io ed Enzo” dice Cristina “insieme abbiamo lavorato su quello che abbiamo strutturato fin dall’inizio come un romanzo. Non volevamo una biografia. E su questa scelta si fonda anche quella successiva della copertina da dare al libro.”
D’impatto, sicuramente: ‘Il giocoliere’, quadro di Antonio Donghi, espressione del realismo magico. Insomma, quanto di più vicino al Succi: “Per la copertina numerose sono le immagini che sono state vagliate. Abbiamo preso in considerazione diversi ritratti di Giovanni. Ce n’erano pochi e ancor meno adatti per quello che stavamo cercando noi. Ma, più che altro, non ci convinceva il fatto che mettendo lui in copertina si richiamasse alla mente sempre la biografia. Poi abbiamo iniziato a guardare dei quadri, quasi per caso, ed è qui che abbiamo trovato l’immagine che è ora in copertina. L’immagine di questo uomo col cilindro in bilico sul sigaro è un fermo immagine di quello che è il libro e la figura di Giovanni Succi: la tranquillità dei colori; la concentrazione messa nell’atto di tenere in bilico il cappello contrapposta alla semplicità che traspare.” Spiega Cristina: “Anche il libro di Enzo Fileno è così: è complesso, pregno eppure semplice” concentrato e pulito come poche altre letture, aggiungo io. L’autore spiega così: “è sempre stato un mio grande desiderio scrivere cose semplici. La stessa scelta di organizzare il libro in capitoli brevi ne è l’esempio. Ci sono libri che si dilungano e questo parlare abbondantemente di un singolo dettaglio sta bene magari in quel racconto, per quello scrittore. Ma non per me.” La sua scrittura asciutta colpisce notevolmente rendendo ogni singola frase essenziale per il corso della storia.
Enzo Fileno nel corso del suo racconto traccia una linea tra reale e immaginario non lasciando mai che si noti in superficie: “Questo è un effetto voluto, ovviamente. E la cosa veramente bizzarra è che gli eventi che sembrano più strani e particolari sono quelli realmente accaduti. Il mio inventare, se così si può chiamare, si è limitato a fare da connettore tra questi avvenimenti storici, realmente accaduti”.
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Anche i personaggi che circondano il Succi hanno una loro personalità non indifferente. “In tutti i personaggi descritti ho messo qualcosa di mio. Ad esempio, la nonna di Giovanni [figura cruciale nella formazione della personalità del Succi e del racconto] prende spunto dalla figura di mia nonna, una grande provocatrice. Più difficile invece è stato tracciare la figura dello stregone africano [altro co- protagonista, insieme alla nonna]. Per le vicende africane, che Giovanni ha realmente raccontato (ma non sappiamo se anche realmente vissute) sono andato a pescare tra ricordi di alcuni miei familiari che hanno avuto esperienze in quelle terre.”
Giovanni è convinto di possedere in sé lo spirito del Leone, rimane sempre in bilico tra esoterismo, religione e realtà. “Io provengo da una famiglia in cui la religione non ha avuto alcun ruolo. Mia madre scacciava i preti da casa. Quindi la fede mi ha sempre attirato. Pensavo ‘chissà cosa succede di tanto straordinario in chiesa se mia madre mi vieta di andarci’. L’ho sempre vissuta così, con grande attrazione e curiosità. Il primo digiuno di Giovanni dura 40 giorni, come quello di Cristo nel deserto. Ma questa del digiuno è una pratica che ritroviamo anche nella religione del buddismo”.
Gli spunti di riflessione che questo libro offre sono molteplici e picchiano sulla società di allora che con la nostra di certo condivide ancora molti lati negativi. “Giovanni nell’epoca in cui visse, spesso non venne compreso. Non era presuntuoso, non pretendeva di correggere persona alcuna ma di certo era megalomane. Diceva ‘posso salvare l’umanità’ ma lo faceva con grande umiltà. Anche quando si fece analizzari dai diversi uomini di scienza che si interessarono al suo caso, lo fece sottoponendosi docilmente alle loro interferenze. Diceva loro qual era lo stato delle cose, che il digiuno lo rafforzava, ma non pretendeva di saperne di più.”
Eppure finì al manicomio della Lungara. Se fosse vissuto ai giorni nostri, circondati come siamo da personalità estrose e strvaganti, ci sarebbe finito ugualmente?
“Forse oggi sarebbe potuto diventare un grande performer. Come disse saggiamente Lombroso, alcune volte viene fuori quella follia che certamente accomuna tutti. Si è pazzi, a volte. Ciò che più fa sorridere, rileggendo i documenti dell’epoca, sono gli appellativi che venivano dati alla malattia”. Succi venne giudicato come affetto da “paranoia ambiziosa”. La sua ambizione era certamente quella di vivere facendo a meno di qualcosa. Cibo, respiro, spazio.
Questa stessa domanda allora la poniamo ad Enzo Fileno Carabba. “So fare a meno del respiro, durante le mie immersioni. Di cosa potrei fare a meno? Di molte cose, anche c’è chi sostiene che è tutto dire.”
Un meraviglioso percorso, questo, nella vita straordinaria del più grande digiunatore di tutti i tempi, contraddistinto da quel suo stupore eternamente infantile, che incantò il mondo. “Poteva sembrare lacero e malridotto, ma era immortale.”
©Martina Caruso per @lefrasipiubelledeilibri
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